L'INTERVENTO

Dalle case agli uffici, nelle città è il momento di sperimentare

La pandemia ha cambiato il volto delle metropoli, ma sarebbe un errore pensare allo sviluppo delle nostre città in una fase come questa, ancora di transizione. Avremo un paio di anni di sperimentazioni, al termine delle quali capiremo quale può essere il modello giusto per le nostre città

Pubblicato il 19 Lug 2021

Gianandrea Ciaramella

Co-fondatore del Real Estate Center

Photo by Josh Calabrese on Unsplash

Durante la pandemia è nato il concetto di south working, che sembra essere messo in discussione adesso che si va verso uno smart working di 2-3 giorni alla settimana. Fare il pendolare Sud-Nord diventerà scomodo e costoso. C’è chi prevede, o auspica, una diversa organizzazione degli uffici, che permetta a tutti di avere una sede vicino alla propria residenza. Ma io credo poco a questa prospettiva.

L’idea del south working è riservato solo ad alcune (poche) categorie. Ci sono startup che tanno provando a proporre soluzioni di questo tipo (case in posti con grande pregio naturalistico proposte a nomadi digitali). Ma a mio giudizio non è pensabile che questo possa diventare un modello. Anche solo tecnologicamente l’Italia ha dei limiti: il 30% degli italiani non ha accesso alla banda larga.

Vedo più sensata l’idea che alcune grandi aziende possano offrire uno spazio per il lavoro multi localizzato, in modo da non obbligare a lunghi viaggi  i dipendenti e avvicinare il posto di lavoro ai luoghi di residenza.

Ma questa in sé non è una grande novità (Unicredit aveva già avviato questo tipo di soluzione anni fa) e, in ogni caso, la vedo praticabile da parte di aziende con un patrimonio immobiliare strumentale di una certa dimensione.

Non perdiamo di vista però il fatto che la crescita professionale di tutti noi è anche frutto del confronto costante con colleghi e questo non può essere risolto solo con collegamenti programmati.

Resta il fatto che il Covid e lo smart working hanno cambiato il volto e l’aria delle metropoli. Questo non potrà non avere effetti sulle abitazioni o sugli uffici, anche perché i dati segnalano uno svuotamento delle grandi città. Più all’estero che in Italia, però. Alcune città “secondarie” degli USA hanno registrato nell’ultimo anno una crescita del numero di abitanti, ma in quel Paese la mobilità è sempre stata un dato di fatto (un americano cambia almeno 4 case nella vita: 1 dove nasce, 1 dove studia, 1 dove lavora, 1 dove muore).

A livello globale va quindi registrata questa tendenza, che però è partita prima della pandemia: a Parigi la crescita degli affitti brevi ha messo in crisi il costo degli affitti per le famiglie medie, in Giappone Tokio che negli ultimi anni aveva continuato ad attrarre abitanti, ora li sta perdendo; a Londra anche l’effetto Brexit sta determinando lo stesso fenomeno.

La concentrazione delle attività era stata conseguenza del costo di interazione fra colleghi o professionisti che era elevatissimo. Oggi quel costo è zero è pari a zero. Bisogna partire da questa considerazione ma anche dalla consapevolezza che la densità di servizi e infrastrutture resta un valore.

Credo che sia un errore pensare allo sviluppo delle nostre città in una fase come questa, ancora di transizione: il sito del New York Times Magazine che si occupa di immobiliare e architettura ha usato una immagine efficace per descrivere questo sforzo: “È come cercare di contare le foglie per terra durante una tempesta”.

Avremo un paio di anni di sperimentazioni, al termine delle quali capiremo quale può essere il modello giusto, ma dovrà essere in grado di adattarsi con notevole flessibilità a cambiamenti che diventeranno continui e frequenti, quasi l’ordine del giorno.

La forza attrattiva delle città, comunque, non verrà meno. Cosa consiglierei agli amministratori di una grande città? Di lavorare su un mix di funzioni mai vista prima: foresterie negli uffici, spazi di lavoro alla base dei condomini, spazi commerciali nei grandi business center, servizi al cittadino ovunque. Il futuro è ibrido, anche in questo senso.

@RIPRODUZIONE RISERVATA

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Gianandrea Ciaramella
Co-fondatore del Real Estate Center

Professore Associato al Politecnico di Milano, Dipartimento Architettura, è Co-fondatore del Real Estate Center della stessa università

Seguimi su

Articolo 1 di 4